Di differenze di genere nel mondo del lavoro si è parlato e si parla molto. Spesso per esigenze di immagine e di Corporate Social Responsibility, in altri casi per cercare un vero cambiamento. Anche e soprattutto in ambito HR si può cambiare molto, a cominciare dal processo di selezione.
Un occhio ai dati sul Gender Gap
Secondo il Global Gender Gap Report 2021 (World Economic Forum), un’altra generazione di donne (se non 2) dovrà attendere la parità di genere. Metteremo al mondo figlie, che metteranno al mondo altre figlie che non potranno vivere un mondo giusto.
La pandemia ha allungato ulteriormente i tempi di raggiungimento di questa cosiddetta parità a livello globale. Si parla di 135,6 anni contro i 99,5 stimati pre-pandemia.
Gender gap e mondo del lavoro
Per quanto riguarda il settore lavoro, per colmare il gap tra donne e uomini serviranno 267,6 anni, continuando di questo passo. Perché non ci adoperiamo da subito per rendere il mondo del lavoro un po’ meno alla mercé del pensiero “così si è sempre fatto” e non proviamo a dare significato davvero al nostro agire?
Chi vive quotidianamente l’ambiente delle Risorse Umane non può esimersi dal dare assoluta importanza a queste (come a molte altre) tematiche che riguardano il benessere e la salute delle persone.
Sebbene la partecipazione delle donne alla forza lavoro sia cresciuta negli ultimi 20 anni, le donne sono ancora ampiamente sottorappresentate, soprattutto nelle posizioni di vertice, con meno del 16,6% delle posizioni nei consigli di amministrazione occupate da donne (Eurostat, 2015).
Immagini provenienti da una campagna di sensibilizzazione circa il tema delle disuguaglianze di genere di Elle UK
Come dimostrano in modo lampante anche le foto qui sopra, siamo ancora lontani dal raggiungere la cosiddetta “gender balance”, ossia una proporzione di donne in posizioni apicali compresa tra il 40 e 60 %.
Questi numeri suggeriscono che, nonostante le qualifiche e l’esperienza adeguate, le donne incontrano ancora seri ostacoli nell’avanzamento di carriera.
Per bloccare sul nascere la narrazione del “le donne sono più adatte a certi lavori piuttosto che ad altri, per quello ci sono poche donne in posizioni apicali!”, sono andata a rivedere una rassegna sistematica della letteratura scientifica svolta da Kalaitzi (2017) in relazione alle barriere prevalenti che incontrano le donne nell’avanzamento di carriera.
Le barriere di genere nel mondo del lavoro secondo la scienza
Ecco che cosa ho scoperto:
- le donne fanno fatica a raggiungere posizioni apicali a causa di mancanza di opportunità di avanzamento di carriera;
- un ruolo fondamentale lo giocano stereotipi e pregiudizi (anche e soprattutto a livello di processo di selezione!);
- anche la mancanza di fiducia nelle proprie competenze e il loro mancato riconoscimento da parte del management giocano un ruolo importante;
- a causa dello scarso equilibrio tra vita e lavoro e alla mancanza di adeguata flessibilità nel lavoro le donne faticano ad ottenere promozioni per mansioni molto impegnative a livello di orario perché rivestono ancora un ruolo prevalente nella gestione della casa e della famiglia;
- Kalaitzi rileva anche l’importanza della mancanza di formazione nelle competenze di leadership e di adeguato supporto nell’avanzamento di carriera da parte dei colleghi più anziani (mentoring);
- il “colpo finale” lo dà la mancanza di opportunità di networking, che genera di conseguenza il cosiddetto “soffitto di cristallo”, alimentato dalla rete informale consolidata attraverso la quale lavoratori uomini della stessa classe sociale e professione cercano aiuto reciproco per la propria crescita personale.
Immagini provenienti da una campagna di sensibilizzazione circa il tema delle disuguaglianze di genere di Elle UK
Differenze di genere nel reclutamento e nella selezione
Le differenze di genere giocano un ruolo fondamentale già dai primi momenti di contatto con l’azienda, e cioè durante il processo di selezione di una nuova figura, affermazione confermata anche da una recente RCT (randomized-controlled trial) di Gorska (2017) che ha mostrato che la disuguaglianza di genere può già manifestarsi nella fase di reclutamento (soprattutto per le posizioni più elevate).
La mente inganna
Tendiamo a pensare che un processo di selezione ottimale si basi esclusivamente sulle qualità professionali. In realtà, la selezione dei candidati è influenzata da molti fattori. Si tratta comunque del rapporto tra due esseri umani, che, come tutti noi, sono soggetti ai trucchi della nostra mente, come i bias o distorsioni cognitive.
Un buon selezionatore è formato per riconoscere i propri limiti in riferimento ai giudizi che esprime, cercando di evitare di incorrere in errori di valutazione dati dalla propria soggettività. Ma i pregiudizi e gli stereotipi sono particolarmente subdoli perché impliciti e sono importanti ostacoli all’uguaglianza di genere nel top management.
Alcuni esempi di stereotipi di genere
Quando si parla di stereotipi di genere si intende ad esempio la convinzione implicita di un selezionatore circa la maggiore abilità degli uomini in posizioni di leadership, che lo porterà a percepire come più idonei candidati di sesso maschile. Ancora, si potrebbe pensare alla percezione che le donne siano meno disposte a impegnarsi a fondo nel proprio lavoro perché culturalmente sono figure chiave anche per la gestione della famiglia.
Una recente RCT (Randomized-Controlled Trial) di Klatt (2016) ha mostrato come il pregiudizio di genere sia molto più forte e implicito di quanto pensiamo: ad esempio, c’è una correlazione significativa tra l’aspetto delle donne (acconciatura, abbigliamento, gioielli, trucco) e la competenza percepita.
Per questo motivo sono necessarie misure esplicite per contrastare i pregiudizi e rendere le procedure di selezione più oggettive ed eque.
Come si possono prevenire i pregiudizi legati al genere nelle procedure di reclutamento e selezione?
Prendendo in considerazione un processo di selezione già adeguatamente progettato ed erogato da selezionatori professionisti, secondo un’analisi della letteratura scientifica effettuata dal Centro per l’Evidence-Based Management (CEBMa), ci sono due aree da considerare per ridurre al minimo i bias legati al genere:
- migliorare la validità dei metodi di selezione
- selezionare in base ai migliori predittori delle prestazioni lavorative.
Immagini provenienti da una campagna di sensibilizzazione circa il tema delle disuguaglianze di genere di Elle UK
Pratiche che possono migliorare il processo di selezione
Interviste strutturate
Secondo diverse metanalisi, le interviste strutturate sono più resistenti alle distorsioni operate dagli stereotipi di genere. Esse determinano un maggiore accordo tra gli intervistatori, moderando l’effetto di fattori non correlati con le prestazioni (razza, genere, disabilità…).
Formazione adeguata dell’intervistatore
Diverse metanalisi mostrano che la validità dell’intervista può essere moderatamente migliorata da una precedente formazione dell’intervistato. La formazione aumenta la consapevolezza del pregiudizio di genere e anche l’affidabilità dell’intervista.
Utilizzo dello stesso intervistatore
L’utilizzo dello stesso intervistatore, o degli stessi intervistatori nel caso della modalità panel, migliora la validità di un colloquio. Una meta-analisi basata su 120 studi ha dimostrato che la validità di un colloquio può aumentare moderatamente se tutti i candidati sono intervistati dalla stessa persona. Questa pratica è particolarmente importante quando l’intervista non è altamente strutturata.
Valutazione dell’Abilità Mentale Generale
Una metanalisi basata su un secolo di ricerche sulla selezione del personale suggerisce che la validità delle misure dell’abilità mentale generale per prevedere le prestazioni lavorative è più forte di quella di qualsiasi altra misura. Se valutata psicometricamente (tramite test e questionari), unitamente a interviste strutturate, l’abilità mentale generale può essere una previsione ancora migliore delle prestazioni future. Inoltre, sembra essere il miglior predittore disponibile dell’apprendimento correlato al lavoro e, allo stesso tempo, ha il costo di somministrazione più basso. D’altra parte, l’esperienza lavorativa e l’età, tenute in grande considerazione in molti processi di selezione, non sono sempre buoni predittori delle prestazioni.
Non esageriamo con gli Assessment Center
La maggior parte dei processi di selezione utilizza come “cavallo di battaglia” l’Assessment Center, una metodologia di gruppo che impiega la simulazione di casi e situazioni organizzative per rilevare il possesso delle capacità per lo svolgimento della specifica attività professionale.
La ricerca ha verificato che tale metodologia è un predittore inaffidabile e poco valido delle prestazioni future. Diverse metanalisi, infatti, dimostrano che ha poca validità incrementale rispetto alla valutazione delle abilità mentali generali nella previsione delle prestazioni lavorative.
Domande sul comportamento passato
Le domande del colloquio sul comportamento passato sembrano essere un predittore migliore delle prestazioni lavorative rispetto alle domande situazionali. Le domande situazionali sono una misura della performance massima e ipotetica, mentre le domande sul comportamento passato sono focalizzate su eventi quotidiani che l’intervistato ha già affrontato e quindi è più probabile che valuti la prestazione tipica di una persona. Pertanto, le domande del colloquio basate sul comportamento passato predicono le prestazioni lavorative meglio delle domande situazionali.