Per gli amanti della letteratura italiana non sarà difficile ritrovare nella propria memoria il titolo di una bella raccolta di poesie di Cesare Pavese intitolata “Lavorare Stanca”. I personaggi che ritroviamo nelle sue parole sono personaggi divisi tra il lavoro e l’ozio, insoddisfatti, irrequieti, alla ricerca di qualcosa che sembrano non trovare.
Il mondo lavorativo odierno sembra popolato di personaggi pavesiani insoddisfatti di dover lavorare per vivere. Probabilmente tutti noi, almeno una volta, se non centinaia, ci siamo chiesti:
Perché devo lavorare?
Il mio intento, in questo articolo, è quello di capire insieme perché spesso percepiamo un’avversione verso il lavoro e cosa possiamo fare noi e le nostre organizzazioni per cambiare questa tendenza e guadagnarci tutti in termini di felicità, sviluppo umano, efficienza e profitto.
Che cos’è il lavoro?
Il termine lavoro deriva dal latino “labor”, che significa fatica, sofferenza. È interessante notare come questa parola, che in passato in molte lingue europee era utilizzata per descrivere ogni tipo di difficoltà e/o fatica, sia oggi il termine designato per descrivere la produzione economica di beni e servizi.
Un tempo non c’era una chiara distinzione tra le fatiche del lavoro e le fatiche del resto della vita. Vita e lavoro erano in un certo senso sinonimi: la vita era un continuum di azioni (fatiche, labor) atte alla sopravvivenza. Vivere era godere del frutto del proprio lavoro.
Ma l’essere umano è una creatura incredibile: non può limitarsi ad essere ben nutrito e al sicuro come un qualsiasi altro animale, in lui coesistono una molteplicità di esigenze che lo costringono a modificare la realtà e ad appropriarsene. E ogni giorno sorgono nuovi bisogni, nuovi desideri che sembrano essere il “minimo indispensabile” per vivere una vita degna.
Il lavoro e l’efficienza
Con questi nuovi bisogni, abbiamo percepito la necessità di essere maggiormente efficienti per poter produrre beni in quantità sempre maggiori. E sono beni che ci hanno essenzialmente “cambiato la vita”. La nostra qualità di vita oggi è infinitamente migliore rispetto ad ogni tempo passato. Ripeto, che meraviglia l’essere umano.
Così i processi sono diventati più complessi, i passaggi sempre maggiori, le azioni programmate e misurate, i tempi di lavoro organizzati e il “lavoro” ha cominciato a prendere forma come un qualcosa di tangibile.
Il lavoro oggi
Due conseguenze di questa “tangibilità” del lavoro ci interessano per capire come mai ci chiediamo “perché devo lavorare?”
- Processi di lavoro più complessi e spezzettati ci hanno allontanato dal risultato del nostro lavoro. Oggi potremmo non arrivare a vederlo o a percepirlo come frutto della nostra fatica.
- Si è creata una spaccatura nella nostra vita: oggi parliamo di vita lavorativa e vita privata.
La perdita del senso del lavoro
Per quanto riguarda la prima conseguenza, il lavoro, riducendosi ad atto tecnico, pratico, diviso in fasi, perde progressivamente quella dimensione spirituale di creazione di “nuovi pezzi di mondo”, di soddisfazione per il proprio operato per il semplice fatto di vedere davanti a sé il prodotto della propria fatica, utile alla propria sopravvivenza o a quella di qualcun altro. Il lavoro non ha più senso di per sé.
La perdita della vita nel lavoro
La seconda conseguenza ha portato ad escludere la “vita” dal mondo del lavoro. Ogni persona vive mentre lavora ed è pericoloso pensare che un essere umano non viva la sua vita interiore mentre svolge le sue azioni lavorative quotidiane. Questo porta a pensare che i problemi del lavoro non siano problemi umani, ma che possano invece essere risolti solo agendo sul lavoro e sui suoi processi. E dato che siamo ancora qui a chiederci perché dobbiamo lavorare, a quanto pare questo approccio non funziona.
Perché ci chiediamo “perché devo lavorare?”
Ecco che queste due conseguenze portano il lavoro ad assumere una connotazione negativa.
Siamo obbligati a lavorare per guadagnare dei soldi che ci permetteranno di comprarci del cibo ed esaudire qualche desiderio che ci sembra più o meno importante per la nostra sopravvivenza. E non vediamo altra motivazione al fare per otto ore un lavoro che magari nemmeno ci piace.
In realtà le funzioni del lavoro sono molteplici. Il lavoro ci permette di costruire parte della nostra identità e di esprimere le nostre potenzialità e le nostre passioni. Esso ci permette di relazionarci con altre persone e di creare un legame con il resto del mondo. Ci permette di raggiungere degli obiettivi significativi per noi stessi, non solo per la nostra identità lavorativa, ma per quella necessità esistenziale di dare un senso alla vita.
Ci chiediamo “perché devo lavorare?” perché nel mondo del lavoro che viviamo si è perso molto di quel senso intrinseco del faticare per vedere la propria opera, il lavoro non è più denso di significato di per sé ma è uno strumento che si avvale di azioni pratiche per soddisfare i propri bisogni nella vita parallela che è quella personale.
E non fatichiamo a capire, così, perché il lavoro è brutto e sogniamo una società senza lavoro, quando in realtà ciò di cui abbiamo bisogno è di riconciliare la nostra identità lavorativa con quella personale in un’occupazione che sia densa di significato per la nostra esistenza.
Come ridare significato al lavoro nelle organizzazioni
Per capire come possiamo ridare significato al lavoro partiamo dalla teoria sviluppata da Hackman e Oldham (1976) sulle caratteristiche del lavoro.
La teoria della soddisfazione al lavoro di Hackman e Oldham
Questa teoria afferma che ci sono cinque condizioni necessarie affinché le persone siano intrinsecamente motivate e abbiano prestazioni elevate sul lavoro: varietà delle competenze utilizzate; identità del compito; significato del compito; autonomia e feedback.
Queste condizioni portano a sperimentare una percezione di lavoro significativo, di responsabilità e autonomia sui propri risultati. Da qui aumenta la motivazione al lavoro, le prestazioni e la soddisfazione per il proprio operato. E aumenta anche l’attaccamento affettivo per la propria organizzazione, il quale a sua volta porta a risultati lavorativi positivi.
Quali azioni possiamo mettere in pratica?
Lavorare sulle caratteristiche del lavoro
Si tratta di rivedere i processi di lavoro per renderli più umani e stimolare nella cultura organizzativa una percezione del lavoratore come agente attivo. Ad esempio, si può agire per rendere il più possibile vario il lavoro di ognuno, si può puntare sul dare autonomia e fiducia alle proprie persone. E si può costruire un ciclo di feedback adeguato (Wang, 2018).
Rendere il lavoro più sfidante
Sebbene troppa competitività possa creare situazioni di conflitto o aumentare lo stress percepito, task sufficientemente stimolanti possono aumentare la soddisfazione per il lavoro svolto e il significato che si può riscontrare in esso (Kim & Beehr, 2019).
Trovare lo stile di leadership adatto
I leader sono fondamentali nella percezione della realtà da parte dei collaboratori e ci sono alcune tipologie di leadership più adatte di altre a supportare un ambiente di lavoro denso di significato. È il caso della leadership etica, della leadership “empowerizzante” e di quella trasformativa. (Kim & Beehr, 2018)
Puntare sulla Responsabilità Sociale d’Impresa
La RSI è e sarà uno dei grandi temi di questo decennio. Alle organizzazioni non si chiede più solo di generare profitto. Si chiede che prestino attenzione all’ambiente nel quale si sviluppano, che si occupino dei propri stakeholder, tra cui ci sono anche i lavoratori.
I lavoratori che percepiscono la propria organizzazione come responsabile socialmente sono portati a percepire il proprio lavoro come maggiormente denso di significato (Brieger et al., 2019).
Lavorare sulle relazioni interpersonali
Le relazioni interpersonali sul luogo di lavoro hanno molteplici conseguenze positive sul benessere individuale e organizzativo e aiutano a creare una visione condivisa dell’ambiente di lavoro e della mission organizzativa. Relazioni valevoli di essere vissute aumentano la percezione di valore e di significato della propria attività quotidiana (Fouché et al., 2017).
Utilizzare un adeguato processo di selezione del personale
Trovare la persona perfetta per una posizione è un’utopia. Invece, trovare una persona realmente interessata al lavoro che dovrà svolgere è più facile di quanto si pensi. Per coloro che vedono una sorta di “vocazione” nel proprio lavoro esso assume un significato intrinseco e si impegneranno maggiormente per raggiungere i risultati (Fouche et al., 2017). Indagare più a fondo l’individualità di chi si seleziona è una parte fondamentale del processo selettivo a cui molto spesso si fa poca attenzione ma che può fare una grande differenza.
Siamo noi a costruire il mondo, anche quello del lavoro
Siamo noi a creare il mondo del lavoro perché esso è costituito di persone. Se sceglieremo di non essere così negativamente pavesiani ma decideremo di impegnarci per ridare significato alle nostre azioni quotidiane ne guadagneremo tutti: individui, aziende e società.
E non è utopia: è utilizzare la scienza e l’esperienza per raggiungere obiettivi importanti per noi e per chi ci circonda ed essere un po’ più soddisfatti della nostra esistenza.
Molto bello, molto chiaro molto molto profondo. Ci farei un libro.